Tra l’Indonesia e la Papua Nuova Guinea, a nord di Timor est, si trovano le Molucche, isole conquistate dagli olandesi agli inizi del sedicesimo secolo e da loro governate come parte delle Indie orientali per più di trecento anni. Nel 1949 divennero definitivamente indonesiane nonostante un vano tentativo, da parte delle popolazioni autoctone, di renderle indipendenti. È una vicenda che ha avuto significativi riverberi nei Paesi Bassi dove molti molucchesi si sono trasferiti per cercare una vita migliore: sogni che sono finiti dritti dritti al macero per circa un trentennio. Al loro posto, emarginazione, divisione sociale e povertà hanno dato la stura, negli anni settanta del secolo scorso, a numerosi atti di terrorismo. Alla violenza, le autorità di Amsterdam hanno cercato, non sempre con successo, di rispondere attraverso il prezioso ausilio dei “soldati delle parole”, negoziatori in grado di ottenere il massimo senza ricorrere all’uso della forza, il cosiddetto “Dutch Approach”: fermare la violenza senza violenza. È possibile quando ci si trova difronte a chi uccide uccidendosi? Una domanda sempre più (tristemente) attuale.
Negli anni settanta il terrorismo sferza l’Europa, dalle italiane brigate rosse alla tedesca RAF (Rote Armee Fraktion) passando per l’irlandese IRA (Irish Republican Army) e i militanti dell’RMS (Repubblica Molucchese del Sud) che combattono una guerra a migliaia di chilometri dalla madre patria, rimproverando, assai aspramente, ai propri ospiti, di averli abbandonati a se stessi.
Il 2 dicembre 1975 alcuni giovani molucchesi decidono di sequestrare un treno diretto a Groningen e carico di 50 passeggeri: nel giro di due ore ne uccidono tre a bruciapelo, in attesa che le richieste avanzate vengano esaudite. Havinga, negoziatore dello Stato, psichiatra e colonnello medico al servizio dei mariniers viene inviato sul posto con l’incarico di prendere tempo per fare in modo che le truppe speciali si organizzino. Mentre si consuma un altro omicidio a freddo, il governo olandese decide di delegare due rappresentanti del servizio d’ordine molucchese a parlare con i terroristi, viene persino inviato in avanscoperta il presidente (in esilio) dell’RMS, non ottiene nulla, ma la richiesta di alcuni generi di prima necessità fa slittare, per poco, i vari ultimatum. Il 4 dicembre si è ancora in fase di stallo, viene ucciso un altro ostaggio, i sequestratori iniziano a comprendere che la richiesta di un autobus e quella di un aereo non verranno mai accolte. Anche il procuratore generale olandese ha un mancamento quando apprende che un altro gruppo di molucchesi ha assalito il consolato indonesiano ad Amsterdam. “L’aggressività lascia spazio al senso di abbattimento” e dopo svariati tentativi di dialogo, le autorità decidono di intervenire. “L’opzione violenza è ora balzata al primo posto, superando, indisturbata, gli equilibri funambolici delle negoziazioni” mentre i molucchesi hanno appena comunicato ai sequestrati l’intenzione di non voler più uccidere nessuno, ma nessuno lo sa.
“In media, nei primi anni Settanta, vennero dirottati uno o due aerei al mese, quindi tra quindici e venti all’anno”. Nel 1974 viene sferrato un attacco contro l’ambasciata francese all’Aja da parte di tre “soldati” dell’armata rossa giapponese. Il governo decide di accontentarli concedendo trecentomila dollari, il rilascio di un loro amico e un Boeing diretto chissà dove. L’opinione pubblica si entusiasma, il quotidiano “Elsevier Magazine” definisce gli olandesi “un popolo etico”, ma il negoziatore e psichiatra Havinga esprime le sue riserve asserendo che fare ostaggi paga! Sempre nello stesso anno un aereo della British Airways viene dirottato a Schipol da due palestinesi che si arrendono liberando tutti i prigionieri, ma decidendo comunque di bruciare l’apparecchio prima di abbandonarlo. È passato appena un mese: in prigione uno dei due palestinesi riesce a procurarsi un’arma, coglie l’occasione della visita di un coro venuto ad esibirsi per sequestrarlo interamente: il premier Den Uyl ordina ad un altro psichiatra, Dick Mulder, di “parlargli a lungo e nel tono giusto per convincerlo”, ma dopo ore e ore le trattative si arenano e i mariniers devono entrare in azione. In un’altra occasione Mulder riesce a salvare gli ostaggi dopo 15 giorni di negoziati senza ricorso alla violenza, è questo il Dutch approach “Gli ultimatum, dice, li annulli parlando, facendo in modo di tenerli impegnati nella conversazione…”
“Negoziare con i terroristi non era una disciplina, lo è diventata solo dopo il dicembre del 1975”. Il 23 maggio 1977 viene sequestrato un altro treno e, lo stesso giorno, persino una scuola. Den Uyl non vuole una “rappresentazione irlandese” del terrorismo e preferisce che Mulder “li metta a tappeto con le parole” anche se detta alcune regole: gli ostaggi non sono un prodotto da esportazione e chi uccide non esce dal paese. Proprio in coincidenza con la scadenza elettorale del 25 maggio, i terroristi fissano l’ultimatum, non a caso. Lo psichiatra Mulder e il sequestratore Max Papilaya intavolano un vero e proprio combattimento verbale. Il 26 maggio viene rilasciata una bambina che non si sente bene. Il socialdemocratico Den Uyl continua a sostenere la linea della trattativa, i cristiano democratici propendono per l’intervento. A quattro giorni di distanza, ora dopo ora, Mulder ottiene notevoli successi: riesce a far liberare tutti i bambini della scuola e scambia, con i sequestratori del treno, due donne incinte con la bandiera dell’RMS. Il 10 giugno i mariniers entrano in azione e in undici minuti l’operazione finisce con un blitz “un livello di violenza considerato molto poco olandese’.
“Col tempo l’atteggiamento pacifico e tollerante, è diventato per molti sospetto’. Westerman sostiene che il Dutch Approach miri a rimuovere le cause della brutalità e che l’effetto benefico della ragionevolezza sia molto più di un mero medicinale omeopatico. Nel 1977, infatti, i molucchesi che rinnegano la violenza possono andare in visita “all’arcipelago dei propri genitori a spese dello Stato”, viene introdotto un programma di istruzione in lingua e i giudici pronunciano sentenze più indulgenti perché “le pene severe rafforzano le convinzioni”.
“Come liquido di contrasto” a questa sua tesi, Westerman introduce l’esperienza, da lui vissuta come inviato, dei fatti ceceni e, quindi, del metodo russo, in particolare nei confronti del terrorista Shamil Basaev: il 1 settembre 2004 un folto gruppo di sequestratori fa irruzione in una scuola a Beslan uccidendo sei genitori non appena finiscono di schermare le finestre. Putin fa circondare la scuola da un cordone blindato: la brigata antiterrorismo, le squadre delle unità mobili, i servizi segreti e il loro ramo militare, la direzione centrale per le operazioni speciali, la polizia antisommossa, ecc.. Mentre un’ambulanza si appresta a prelevare i corpi che giacciono nel cortile, scoppia una bomba. Tutte le unità speciali intervengono contemporaneamente: muoiono 331 persone tra cui 150 bambini.
“Il terrorismo è ben più di un test allo stress. Per poterlo sconfiggere dovevi reprimere contemporaneamente, oltre all’agitazione, anche le tue ragioni. Dovevi sempre prima di tutto immedesimarti nel terrorista […] Ascoltare è più importante che parlare, capire è ancora meglio”.
Non so dire, per palese mancanza di vis, se l’analisi di Westerman vada accolta in pieno o meno, ma mi ha profondamente colpita, permettendomi di “frugare molto più a fondo nelle viscere” di una riflessione quanto mai attuale e complicatissima. In fin dei conti, dopo gli attacchi a Charlie Hebdo, l’immagine della penna che spezzava un proiettile ha fatto il giro del mondo. Un mero anelito? Blanda ed effimera retorica? L’ho pensato spesso. Le due strategie, olandese e russa, sono, in ogni caso, davvero agli antipodi!
Westerman F., I Soldati delle parole, Iperborea 2017, pp. 352
Veronica Arpaia