Un boato assordante e una densa colonna di fumo nero. Nell’aria, quell’odore acre e pungente. Poi urla, pianti, lamenti. E tanto sangue. Alle 14.15 del 18 agosto 1946 la spiaggia di Vergarolla, a Pola, si macchiò del sangue innocente di intere famiglie, molti i bambini dilaniati, fatti a pezzi, letteralmente polverizzati dall’esplosione di alcuni residuati bellici, presumibilmente mine subacquee. I morti accertati furono almeno 65: tra questi, due giovani fratellini, di 6 e 9 anni, Renzo e Carlo.
Il loro papà, Geppino Micheletti era il medico chirurgo dell’ospedale cittadino, che in breve tempo si riempì di feriti, di mutilati. E di cadaveri. Ma di quel medico-padre, l’eroe simbolo di quella drammatica mattina, un intero paese, l’Italia, sembra essersi dimenticato. Nonostante fosse stato informato della tragica scomparsa dei suoi due figli, restò al suo posto, operando, tagliando, tamponando. Il corpo di Carlo venne rinvenuto sulla spiaggia ma di quello di Renzo, troppo vicino all’esplosione, restò solo una piccola scarpetta. Per oltre ventiquattro ore operò i suoi cittadini, i suoi amici, i suoi pazienti. Simone Cristicchi, nella sua magistrale opera teatrale Magazzino 18 lo ha definito “padre distrutto, medico ineccepibile”. Ma per la sua Patria, per l’Italia “eroe dimenticabile”.
Già, “eroe dimenticabile”. Quel 18 agosto 1946 cambiò la storia per la città di Pola. E per il Dottor Micheletti che, così come la grande maggioranza della popolazione italiana, scelse la strada dell’esodo. Italiani stranieri in Italia. Non solo le case abbandonate, la terra natia lasciata dietro le spalle: anche i figli. Renzo e Carlo non hanno vie dedicate, né piazze, tanto meno scuole. Così come il Dottor Micheletti. Nel 1963 il quotidiano L’Arena di Pola gli dedicò un lungo articolo, ripercorrendo un dramma familiare, di un padre straziato, a cui erano stati strappati nel modo più orrendo possibile, quello di una strage, i suoi due figli. Scriveva a tal proposito il giornale: “Si riscosse alle urla di quei piccoli esseri straziati che i sanitari deponevano ovunque un po’ di spazio lo permettesse. La realtà era lì, viva, tremenda, in quel bailamme orrendo, in quelle pupille spente, in quegli arti distrutti, in quei ventri dilaniati. Si risvegliò. Era al tavolo operatorio. Quelle grida, quei gemiti… Non vi era tempo da perdere. Bisturi… Pinze… Tampone… Sutura… Un altro… E un altro ancora. E poi ancora tanti, che non finivano più, in quella che certamente fu la più lunga giornata della sua vita”.
Vecchi articoli, foto ingiallite: questo, oggi, resta di Vergarolla e del Dottor Micheletti. Oggi a Pola, nella città vecchia, una grossa lapide ricorda la strage e tutti quei morti. Alla base, una targa più piccola, quasi in rispettoso silenzio, ricorda quel padre distrutto e medico ineccepibile: come rispettosa fu tutta la sua vita, passata tra sale operatorie ed ospedali. Non più a Pola, ma in un Paese che considererà sempre stranieri i connazionali del litorale adriatico. Fino al 31 marzo 1947, Geppino resterà a Pola, comandato dalla Croce Rossa per coordinare l’evacuazione dei malati dell’ospedale cittadino dopo la firma del Trattato di Pace del 10 febbraio precedente, che assegnò definitivamente l’intera Istria alla Jugoslavia.