La Mitteleuropa com’era. Prima della grande ferita

By Dicembre 6, 2017APPROFONDIMENTI

Nel vicino febbraio 2014 la Crimea sta per cambiare nuovamente nazionalità, sono passati sessant’anni da quando il Soviet Supremo l’ha ceduta alla repubblica socialista sovietica ucraina. La penisola inizierà a battere una nuova, ma antica moneta, il rublo, in barba alle diatribe internazionali che auspicano, invano, rimanga così come è, senza un nuovo passaporto. Nel 1947, col trattato di Parigi, l’Istria italiana diventa iugoslava insieme ad altri territori dalmati di nostalgica memoria per molti connazionali, non senza essere stata, sino al 1918 e per più di un secolo, parte dell’impero austroungarico. Di analoghe vicende è piena la storia. Si può nascere da genitori slavi in territorio italiano, prendere la nazionalità di quel paese e perderla in un batter d’occhio, costretti a rinunciare ad una parte della propria arricchente ed eterogenea identità. Nuove linee vengono tracciate su vecchie mappe e, le loro misurazioni affidate ad esperti agrimensori, impassibili ingegneri politici dei nuovi confini.

La storia della Galizia, regione storicamente divisa, inizia, procede e si illumina, grazie al temerario narratore Martin Pollack, attraverso un insperato ed estatico viaggio in treno sulle ferrovie austroungariche che, dirigendosi verso oriente, raggiungono la frontiera russa. Chi ha letto Joseph Roth ricorderà le più salienti descrizioni di quei remoti luoghi. Dopo la prima spartizione della Polonia avvenuta nel 1772, la Galizia, con capitale Leopoli, fa parte dell’impero austroungarico e rimarrà tale sino alla fine del primo conflitto mondiale quando Vienna, tristemente in ginocchio, sarà notevolmente ridimensionata, nessun riscatto la porterà alla ribalta.
Martin Pollack utilizza abilissime tecniche per raccontarci una terra che non c’è più, sovrapponendo numerose fotografie in bianco e nero: quelle di noti scrittori tra cui Bruno Schulz e Hermann Blumenthal, le abitudini di ignote popolazioni come i boyko e gli huzuli, ma anche il modo in cui polacchi, ebrei e ruteni gestivano la convivenza in una terra dalla “proverbiale miseria… di arbitrio e di corruzione”. Non solo: come si integravano i germanici tra queste genti che conoscevano a malapena? Quale lingua tra il polacco e il tedesco riusciva ad avere il sopravvento sull’altra? In che modo influì l’istituzione della leva obbligatoria sui “nuovi” sudditi, come per esempio quella sui lipovani nel 1868? Si arrivò mai ad una parificazione giuridica?

Proprio come Carlo Ginzburg, Martin Pollack inverte l’ordine del racconto storico, perché ci porta in una terra che non esiste più, ma, soprattutto, perché la racconta attraverso la vita dei più umili. Se Ginzburg ha dato voce alle streghe e ai mugnai, Pollack, sulla stessa scia, ha raccontato fotogrammi fittissimi di un mondo di derelitti permettendoci di osservarne le abitudini calate nel realismo più crudo di un “paesaggio craterico” nel quale si muore senza sosta per distillare cherosene dal petrolio. Nella città di Drohobyč per un po’ ci si pensò seriamente, ma la scarsità delle vie di comunicazione mandò presto in rovina improbabili avventori.

Di stazione in stazione, di città in città, passando per Tarnów, Przemyśl e altri nomi con gli accenti sulle consonanti, non senza la sorprendente capacità di “leggere il tempo attraverso lo spazio”, Pollack costruisce una serie di felici confluenze tra memoria storica, letteraria, fotografica e, infine, di viaggio mescolando gli ingredienti come solo un grande chef veramente sa. Gli intervalli letterari, come pause in un ritemprante caffè fanno da sipario :«Agli angoli delle strade ci sono i lustrascarpe, facchini e giovani ebrei che fanno l’elemosina nei loro laceri caffetani, con le facce pallide e affamate.

Martin Pollack, Galizia, viaggio nel cuore scomparso della Mitteleuropa, Keller Editore, Trento, 2017, pp. 247

Giorno per giorno infuria la lotta per un pezzetto di vita… Com’è scarso il guadagno della gente che il destino ha radunato in questo lembo di terra. Si danno un gran daffare solo per placare la fame. Pochi centesimi di guadagno li rendono felici e li rinvigoriscono. C’è una donna con delle mele. Tutta quanta la sua merce vale forse una corona. Deve vivere con il ricavato di quella frutta e per tutto il giorno non si allontana dal suo posto. Non la smuovono né il caldo, né il freddo…Poco più in là un uomo vende il gelato, “un centesimo al cucchiaio” . Altri offrono bottoni, spazzole, pece da calzolaio, lucido da scarpe e fiammiferi. Una donna gira con una brocca di limonata e in ogni momento risuona il suo grido “Chi vuole rinfrescarsi! Ehilà! Ehilà! Una lunga vita! Freddo, ma ottimo per il mal di gola! Una lunga vita per un centesimo…! I vicoli sono pieni di venditori ambulanti e le voci degli imbonitori risuonano regolari… Donne sfinite, bambini pallidi e smunti e uomini smorti e preoccupati trasportano pesanti secchi, ceste, casse… Elogiano la loro merce, cercando di superarsi gli uni con gli altri, di gridare più di tutti…Come se qualcuno li inseguisse, passano la vita a correre impauriti dal domani…Nessuno ha un lavoro preciso… Oggi si va in giro con un carretto della frutta, domani si commercia in vestiti usati. Il vicolo è tutto un andirivieni dalla mattina alla sera». La descrizione è di Hermann Blumenthal.

Mentre i polacchi esortano a non comprare merce dagli ebrei, si avvicina l’anno del primo congresso mondiale sionista (1897) voluto da Herzl, i problemi sono molteplici, la povertà desolante dei loro villaggi, gli shtetl, fa pensare che tra quartieri di una stessa città ci siano secoli di differenza, si pensa già alla Palestina. Gli ebrei, e insieme a loro i ruteni, non potevano entrare in consiglio comunale, né accedere alle cariche più importanti. Galizia: una patria di senza patria, un mondo ancora tutto da scoprire e, certamente, irriducibile, ma che Pollack, e grazie a lui la benemerita editrice Keller, hanno “dissotterrato dall’oblio”.
Dai finestrini di questo insolito convoglio in corsa, il paesaggio occupa un posto di notevole e illuminante rilievo.

 

Veronica Arpaia da La Nostra Storia

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"La Storia senza revisione non dovrebbe circolare"

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