Il contributo dei Neanderthal al genoma delle razze eurasiatiche moderne è più elevato di quanto finora pensato: coinvolge fra l’1,8 e il 2,6 per cento dei geni, contro la stima precedente dell’1,5-2,1 per cento. Lo studio è stato effettuato dai ricercatori del Max-Planck-Institut per l’antropologia evolutiva a Lipsia. Oltre a ritoccare la percentuale del contributo neanderthaliano al nostro genoma, i risultati ottenuti da Kay Prüfer, Svante Pääbo pubblicati dalla rivista “Science”, confermano quanto già suggerito dagli studi precedenti; innanzitutto la presenza di varianti genetiche neanderthaliane nel genoma degli esseri umani che controllano il fototipo (colorito di carnagione, capelli, occhi, facilità di abbronzatura, tendenza alle scottature solari) e la sintesi della vitamina D. La varietà di fenotipi che si riscontra fra le razze eurasiatiche (dai biondi nordici ai gialli dell’Asia orientale, dalle carnagioni e capelli scuri dell’area mediterranea alle popolazioni rosse dell’Europa centrale) sarebbe insomma dovuta in parte al contributo genetico lasciato dai Neanderthal ai Sapiens non africani.
L’eredità dei Neanderthal non è solo positiva: nel nostro genoma sono rimaste varianti diventate fattore di svantaggio (mentre all’epoca erano funzionali a uno stile di vita molto differente), rendendo più probabile lo sviluppo di malattie legate al metabolismo dei grassi e ai disturbi alimentari. Altre varianti ancora appaiono legate all’aumento del rischio di schizofrenia e a una ridotta risposta ai farmaci antipsicotici.
Il lavoro della Prüfer e dei suoi colleghi ha inoltre suggerito che i Neanderthal vivevano in piccoli gruppi isolati ciascuno con una popolazione non superiore ai 3000 individui. Ma ha anche smentito che fra di essi fosse diffusa l’endogamia, e in particolare l’incesto, come era stato ipotizzato in seguito a quello che fu probabilmente, osservano gli autori, un caso isolato.
L’influenza dei geni neanderthaliani sulla variabilità dei fenotipi umani moderni è confermata anche da un’altra ricerca, pubblicata su “The American Journal of Human Genetic”. Questo secondo studio ha mostrato che nelle popolazioni neanderthaliane era già presente una significativa variabilità di tratti, per esempio quella del colore dei capelli, che dovevano andare dal biondo al castano chiaro e scuro fino al nero; singolarmente non sono state trovate varianti genetiche neanderthaliane legate ai capelli rossi, anche se, considerata la scarsità di materiale genetico disponibile, non si può escludere che fra di essi fosse presente, sia pure con frequenza molto bassa.
Le analisi hanno peraltro svelato che il flusso genetico fra Sapiens e Neanderthal fu reciproco, e varianti genetiche dell’uomo moderno sono state passate anche a questo cugino estinto.